Le
corporazioni di mestiere, che si formarono in un periodo
di grande espansione delle città ed essenzialmente
si occuparono di controllare il settore di loro competenza,
erano delle Istituzioni a metà strada fra il pubblico
ed il privato. Infatti rappresentavano gli interessi della
categoria e contemporaneamente garantivano nei confronti
dell’autorità la bontà del prodotto
offerto , attraverso forme di controllo e di repressione
degli abusi.
Avevano inoltre il compito di garantire
assistenza ad una popolazione molto povera o in perenne
rischio di diventarlo, per cui nel corso del XVI secolo
divenne importante offrire agli associati nuovi servizi
quali sussidi dotali, assistenza sanitaria, soccorso in
caso di povertà od anche una dignitosa cerimonia
funebre.
Un’altra delle attività
delle corporazioni era finalizzata al culto del Santo
Protettore: vengono così negli stessi anni costruite
o ricostruite su antiche chiese dirute, le chiese delle
corporazioni – a Roma se ne conservano molte come
S. Maria di Loreto dei fornai, S. Maria della Quercia
dei macellai o S. Lorenzo in Miranda degli speziali –
che costituiranno non solo la sede per gli affari della
corporazione, ma soprattutto il punto di riferimento,
il cuore, l’identità della corporazione.
Tra le più importanti a Roma
fu la corporazione degli Orefici che sorse probabilmente
intorno alla seconda metà del secolo XIII . Agli
inizi del XV secolo abbiamo documenti che la mostrano
già attiva e funzionante, ma la vera storia scritta
della corporazione nasce nel 1509, quando gli orefici
decisero di riformare i loro antichi statuti e di fondare
la chiesa in Via Giulia per il culto del loro Santo Protettore,
S. Eligio.
In questa sede vennero così
conservate anno dopo anno, secolo dopo secolo, le carte
ed i documenti prodotti dall’università che
oggi formano il prezioso archivio del collegio.
L’ARCHIVIO STORICO come detto
conserva carte dal 1509 ed è uno dei pochissimi
archivi di corporazione di mestiere conservati in Italia;
è un archivio completo perché non ha praticamente
subito nessuna dispersione di documenti, ed è quindi
un bene importantissimo per la conoscenza della storia
economica di Roma.
L’archivio è composto
da circa 200 volumi e da circa un migliaio di singoli
documenti dal 1509 fino ad oggi, senza soluzione di continuità.
La documentazione dal 1870 in poi
è attualmente in fase di riordinamento a cura del
Ministero per i beni culturali.
Alcuni elementi particolarmente significativi
sono innanzitutto gli Statuti con cui veniva regolata
la vita dell’arte. I primi del 1509 sono conservati
in due esemplari datati 1550 e 1612, manoscritti, su pergamena,
in un italiano molto arcaicheggiante che appare più
“ripulito “ nella copia seicentesca.
Lo statuto si apre con l’elemento
più importante, l’approvazione papale, la
bolla con cui Giulio II approva i nuovi statuti e soprattutto
concede l’area per la costruzione della Chiesa:
“ Un loco idoneo per edificare una conveniente ecclesia...
. Et in quella adunare et ordinare quelle che risultino
ad onore ed utilità degli orefici et construere
dicta ecclesia nella via Giulia, sub invocazione de sancto
Eligio la quale de mandato nostro se fabbrica apresso
al Tevere con opera assai somptuosa...”.
Dall’elenco dei nomi degli associati
nel periodo in cui gli statuti vennero approvati si evince
la diversa provenienza degli artigiani, oltre alla maggioranza
Romana, Firenze, Milano, Genova, Francia, Spagna.
Si evidenziano tra i nomi personalità
quali Caradosio, Bernardino Passeri e G. Pietro Crivelli.
Con questo statuto si fissano i poteri
della corporazione della quale a capo venivano posti 5
ufficiali: un Camerlengo e 4 Consoli il cui compito primario
era il controllo del mercato orafo; imperava infatti il
divieto assoluto di esercitare l’arte od aprire
una bottega senza l’autorizzazione dell’Università
che, dopo un attento esame di idoneità, rilasciava
una licenza denominata “Patente”
Il lavoro nelle botteghe veniva controllato
attraverso ispezioni periodiche dei consoli, che avevano
il potere di sequestrare gli oggetti sospetti, verificarne
la bontà e la correttezza dell’esecuzione
ed in caso di frode giudicare direttamente il reo. Era
infatti in uso, fino alle riforme della fine del XVIII
secolo che sancirono il principio della certezza del diritto,
l’esistenza di una molteplicità di organi
giudicanti in quanto vigeva ancora il principio tutto
medioevale, del diritto del singolo di farsi giudicare
da una corte di propri pari. Così i Consoli delle
Arti avevano la podestà di giudicare le frodi commesse
nell’ambito della professione.
A dimostrazione del potere legislativo
delle corporazioni in quei secoli esiste in archivio un
documento, che nella diplomatica pontificia viene chiamato
“ Breve” ma comunemente identificato come
“Bolla“, con la quale papa Paolo V nel 1611
concede al collegio il privilegio, ossia la facoltà,
di liberare, nel giorno della festività di S. Eligio,
un condannato alla pena capitale, esclusi quelli condannati
per omicidio intenzionale, lesa maestà, falsificazione
ed eretici.
Questo privilegio era abbastanza comune
tra le corporazioni; sembrerebbe infatti che siano stati
i macellai a concedere la libertà dalla galera
a Benvenuto Cellini (gli orefici in quel periodo ancora
non possedevano questo privilegio).
Lo statuto assume particolare importanza
per la documentazione relativa alle prime norme atte a
regolarizzare la corretta esecuzione dei lavori in oro
ed argento .
Poiché lo Stato Pontificio non
aveva ancora cominciato a regolamentare la materia, furono
quelle emanate per il collegio le prime disposizioni :
il titolo dei metalli, la bollatura, il tipo di pesi da
utilizzare.
Il proseguimento dell’attività
normativa del Collegio giunse fino alla seconda metà
del 1600 e le regole dettate dallo statuto divennero graduatamente
parte della legislazione ufficiale dello stato. La prima
riforma allo statuto del 1509 avvenne nell’anno
1739.
Di rilevante prestigio era la figura
di Console del Collegio, i quali spesso convocati presso
la Zecca Pontificia per verificare e periziare la “bontà
della moneta” coniata, prima che fosse posta in
circolazione.
Dagli inizi del ‘400 fino al
1870 gli orefici ebbero il controllo di tutte le emissioni
di moneta dalla Zecca Pontificia.
Tra i documenti conservati da evidenziare
per la loro particolarità i Registri in cui il
notaio del collegio riportava tutte le deliberazioni in
materia di oreficeria e la pergamena che riporta l’autorizzazione
sancita dal Cardinal Camerlengo dello Stato Pontificio
( titolo equivalente all’odierno Presidente del
Consiglio) per la gestione in proprio della pulizia del
suolo urbano adiacente alle botteghe, dando così
la possibilità agli orefici di recuperare la limatura
dei metalli o delle pietre che si disperdeva e che veniva
recuperata filtrando e selezionando la spazzatura.
Il ricavato della vendita delle limature
veniva poi concesso alla chiesa di S. Eligio.
Altro documento di rilevanza storica
risulta essere l’elenco dei professori patentati,
nel quale oltre ad essere annotati i nominativi dei maestri
orafi ne viene descritto il numero di patente , l’indirizzo
della bottega, la data di morte o di chiusura dell’attività
ed osservazioni particolari.
E’ agli attuali soci, al loro
impegno ed al loro entusiasmo che si deve la valorizzazione
di questo archivio storico , che risulta essere un bene
forse meno evidente e noto di un monumento o di una chiesa,
ma che invece rappresenta il cuore della memoria storica
dell’associazione .
tratto dalla conferenza tenuta dalla
Dr.ssa Alessandra Kolega, Sopraintentente Archivista per
il Lazio, curatrice del riordino dell'Archivio Storico
di S.Eligio, presso la Chiesa di S.Eligio sede dell'Università
e Nobil Collegio.